FONDAZIONE IN BETWEEN ART FILM

 

Nebula

17.04–24.11 2024

Una mostra ideata e prodotta da Fondazione In Between Art Film con Basel Abbas e Ruanne Abou-Rahme, Giorgio Andreotta Calò, Saodat Ismailova, Cinthia Marcelle e Tiago Mata Machado, Diego Marcon, Basir Mahmood, Ari Benjamin Meyers, e Christian Nyampeta

a cura di Alessandro Rabottini e Leonardo Bigazzi

Complesso dell’Ospedaletto
Barbaria de le Tole, 6691 Venezia

Nebula è aperta tutti i giorni, tranne il martedì, dalle 10 alle 18 (ultimo accesso alle 17:15) con ingresso gratuito

INTRODUZIONE

Nebula è la seconda mostra che Fondazione In Between Art Film presenta negli spazi del Complesso dell’Ospedaletto a Venezia. Come fu per la mostra Penumbra realizzata nel 2022, anche per Nebula la storia di questo luogo e le narrazioni che esso evoca sono state l’occasione per stabilire un dialogo con dieci artisti internazionali, a cui abbiamo commissionato otto video installazioni che si dispiegano tra la chiesa di Santa Maria dei Derelitti, la Scala del Sardi, la Sala della Musica e gli ambienti della casa di cura ormai in disuso.

Questa mostra conferma la missione della Fondazione nel sostenere gli artisti e il ruolo sempre più centrale che le immagini in movimento hanno nell’arte e nella cultura del nostro tempo. La Fondazione torna a Venezia in occasione della Biennale Arte 2024 per portare all’attenzione della città e del pubblico internazionale otto inedite opere site-specific commissionate e prodotte nel corso degli ultimi due anni per questo spazio architettonico denso di sovrapposizioni storiche.

Nebula è un’orchestrazione di immagini e suoni nello spazio, una narrazione sull’indeterminatezza che rende il nostro tempo opaco e di incerta navigazione. Le opere degli artisti ci accompagnano in questo percorso cercando di illuminare i contorni sfumati, tanto di queste stanze quanto delle nostre esistenze.

Beatrice Bulgari
Presidente
Fondazione In Between Art Film

nebula

Nebula (“nuvola” o “nebbia” in latino) è il secondo capitolo di una serie di mostre che esplorano lo stato delle immagini in movimento nell’ambito dell’arte contemporanea, oltre a indagare il confine labile tra vedere e comprendere, tra ciò che si percepisce e ciò a cui si crede.

La mostra assume l’immagine della nebbia come metafora di molteplici forme di disorientamento, come fenomeno che da atmosferico si fa interiore e collettivo, una foschia che pervade tanto il campo visivo quanto un’intera epoca. Al centro di Nebula c’è il desiderio di sondare poeticamente un paradosso: può una visione parziale o offuscata generare nuovi significati? Può l’incertezza aprire spazi inediti di comprensione reciproca?

Dopo l’esperienza di Penumbra nel 2022, Nebula raccoglie otto video installazioni site-specific commissionate e prodotte da Fondazione In Between Art Film attorno alle suggestioni formali e narrative che il fenomeno della nebbia porta con sé. Pur nella sua essenza impalpabile, la nebbia condiziona i nostri movimenti fino quasi a paralizzarli, falsa la percezione della distanza e ci induce ad acuire altri sensi per poterci orientare.

Le opere toccano temi di natura diversa: la vastità del paesaggio in cui è possibile smarrirsi o trovare la salvezza, l’architettura della memoria e il labirinto della coscienza, la musica e la voce come strumenti di riaffermazione. Esse esplorano anche altre forme di frammentazione: il riverbero della Storia nelle esistenze individuali, la tensione tra esserci e scomparire così come tra vita condivisa e vita alienata, e l’impatto delle forze economiche e politiche sull’ambiente e sulla vita delle persone.

Oltre a essere il contesto spaziale che ospita le opere, il Complesso dell’Ospedaletto è anche la cassa di risonanza simbolica delle loro narrazioni. Il percorso della mostra è scandito dagli interventi scenografici e architettonici dello studio interdisciplinare 2050+, con passaggi che manifestano il concetto di nebulosità attraverso materiali e superfici che assorbono o amplificano il suono e la luce. L’intero Complesso dell’Ospedaletto è trasformato in un’architettura sensoriale, uno spazio poroso e tattile in cui storie, immagini e voci travalicano la dimensione della stanza in quanto confine.

Le opere espandono le nozioni di film e video: assumono forme scultoree, utilizzano il suono e la luce per ridefinire lo spazio, mettono in discussione la frontalità e la centralità dello schermo e tematizzano la posizione di chi guarda. Attraverso una riflessione su come i time-based media abitano lo spazio espositivo ampliandone percezione e significati, Nebula propone un interrogativo, ossia se l’atto del vedere ci renda testimoni della realtà o partecipi di un miraggio.

Alessandro Rabottini, direttore artistico, Fondazione In Between Art Film
Leonardo Bigazzi, curatore, Fondazione In Between Art Film

ONE

Basir Mahmood
Brown Bodies in an Open Landscape are Often Migrating, 2024

Installazione video a tre canali site-specific, colore, suono 5.1, 25′

L’opera utilizza il prisma del cinema per tratteggiare i viaggi che migranti irregolari intraprendono attraverso vasti territori, esplorando la distanza quale condizione delle esperienze diasporiche, nonché quale posizione intrinseca all’atto filmico. L’artista ha invitato una troupe dell’industria cinematografica della sua nativa Lahore – conosciuta anche come Lollywood – a sceneggiare e dirigere una serie di sequenze la cui storia è parzialmente basata su video trovati online. Registrati dai migranti durante i loro spostamenti dall’Asia meridionale all’Europa, questi video forniscono un’idea delle loro difficili peregrinazioni, che spesso durano anni e a volte non raggiungono la destinazione sperata, e forniscono inoltre consigli pratici a chi non è ancora partito. L’artista ha montato i nuovi filmati in modo da creare scene poetiche nelle quali, tuttavia, solo le condizioni della loro realizzazione sono visibili. Alcune schermate dei video originali appaiono talvolta sui fogli della sceneggiatura, mentre alcuni estratti vengono guardati sui telefonini della troupe. Anziché tentare di rappresentare le esperienze dei migranti, l’artista lascia che esse emergano attraverso lo sfinimento della troupe sotto il sole cocente, la difficoltà del cameraman nell’individuare gli attori sperduti nel paesaggio arido e i gesti esagerati dei registi che cercano di coordinare le riprese da lontano. L’opera è stata concepita in un dialogo spaziale e simbolico con la chiesa di Santa Maria dei Derelitti, laddove la drammatica inquadratura di scorcio si ispira a quella delle pale d’altare che circondano l’installazione e il dispiegarsi del film, dal giorno alla notte, riverbera nell’illuminazione della chiesa. Creata interamente in uno studio di registrazione, l’ambientazione sonora amplifica la divergenza tra ciò che vediamo e ciò che ascoltiamo, tra ciò che è vicino e ciò che è lontano. Essa è parte integrante di un’indagine che cerca di scoprire momenti di verità nella messa in scena, i fatti nella finzione. L’opera tematizza il panorama come spazio fisico ed esistenziale, all’interno del quale navigare alla ricerca della salvezza, sottolineando al contempo la distanza tra l’immagine in quanto testimonianza e l’immagine in quanto prodotto, tra coloro che vivono l’esperienza dell’esodo e coloro che ne sono spettatori.

Il lavoro di Basir Mahmood (1985, Pakistan/Paesi Bassi) è stato mostrato presso: Stedelijk Museum, Palais de Tokyo, Queensland Art Gallery, M HKA – Museum of Contemporary Art Antwerp, Lahore Biennale 2020, Karachi Biennale 2019, Berlin Biennale 2018, Contour Biennale 2017, Yinchuan Biennale 2016, Sharjah Biennial 2013.

TWO

Ari Benjamin Meyers
Marshall Allen, 99, Astronaut, 2024

Video monocanale, colore, suono, 17’42”

L’opera è incentrata sulla figura di Marshall Allen, rinomato musicista di free jazz e di jazz d’avanguardia, attuale leader del leggendario gruppo Sun Ra Arkestra di cui è membro fisso dal 1958. Per questo film, l’artista ha composto due partiture originali che ha chiesto ad Allen di interpretare, invitandolo a unirsi, attraverso la musica, a un’intima conversazione sulla spontaneità della creazione musicale, il rigore delle prove e la potenzialità della collaborazione. La telecamera mostra Allen mentre si cimenta in una melodia apparentemente nostalgica nel privato della sua residenza di Philadelphia, l’Arkestral Institute of Sun Ra, che da oltre cinquant’anni è abitazione, sala prove e frontiera di esplorazione musicale per il gruppo. Alla vigilia del suo centesimo compleanno, Allen interpreta la composizione su un sassofono contralto e trasforma gli occasionali vuoti di memoria in spunti di improvvisazione, rivelando sia la fragilità dei suoi anni che la sua brillante virtuosità. Nel frattempo noi ci aggiriamo per la casa che, come un fitto palinsesto, mette in mostra la storia ricca e le attività eclettiche della Sun Ra Arkestra attraverso arredi scenici futuristici e immagini di antiche cosmologie. Unendo il genere documentaristico con quello speculativo, il film teletrasporta Allen su un palco, dove esegue una partitura evocativa con il suo Electronic Valve Instrument (EVI) sullo sfondo della cupola dello storico Fels Planetarium di Philadelphia. Nebulose spettacolari e simboli della sua vita – dal distintivo del reggimento razzialmente segregato dell’esercito USA di cui ha fatto parte, allo storico mosaico dedicato alla Sun Ra Arkestra nel parco cittadino di Vernon Park – si susseguono finché l’artista non scompare nel buio per trasformarsi in una costellazione. L’opera trascende il tempo e lo spazio attraverso il racconto di una storia musicale e visiva di trasformazione dalla dimensione terrena a quella soprannaturale. Essa rende omaggio sia all’esistenza centenaria di Allen, vissuta attraverso la musica, che alla visione musicale rivoluzionaria e all’utopia politica di Sun Ra, che ha saputo vedere, nell’ignoto della sperimentazione sonora e nella vastità dell’universo, la possibilità di un presente trasformato e di un futuro radicalmente diverso.

Le composizioni “Outer Space” e “Inner Space” sono state scritte per Marshall Allen da Ari Benjamin Meyers. Musica aggiuntiva di Marshall Allen.

Il lavoro di Ari Benjamin Meyers (1972, Stati Uniti d’America) è stato mostrato presso: Berliner Festspiele, Hamburger Kunsthalle, Hamburger Bahnhof, MAAT, Beaufort Triennial, V–A–C Foundation, OGR, Museum of Contemporary Art Santa Barbara, Frac Franche-Comté, Palazzo Grassi – Punta della Dogana, Liverpool Biennial, Public Art Munich, Kunstinstituut Melly, Sonic Somatic Festival, Biennale de Lyon, Lenbachhaus.

THREE

Christian Nyampeta
When Rain Clouds Gather, 2024

Video monocanale, colore, suono, 29′

In una situazione immaginaria tre amici artisti discorrono di come trascorrere uno dei loro ultimi sabati sera a New York. Il loro dialogo, interpretato dall’artista e documentarista Maliyamungu Gift Muhande, dall’artista e ricercatrice Akeema-Zane e da Christian Nyampeta, si incentra sulle piccole seccature della vita quotidiana di fronte a un mondo incendiato da guerre ingiuste e stermini crudeli. Attraverso l’improvvisazione e la collaborazione con lo sceneggiatore e regista teatrale Adrian Alea, la loro conversazione trae spunto dalle opere e dalle idee di scrittori e registi Neri e africani, che hanno trattato i temi dell’esilio, della vita sociale e dell’urgenza di un’azione culturale nella società del loro tempo. Il titolo del film è preso in prestito dall’omonimo romanzo di Bessie Head del 1969 e la sceneggiatura è una libera rievocazione del racconto breve di Sembène Ousmane “In the Face of History” (1962). Il film non è un esercizio di ironia ma di quell’“inerzia preventiva” che, secondo le parole di una delle canzoni che ci accompagnano qui, può proteggere il mondo dagli errori e dagli abbagli che definiamo progresso. I protagonisti trascorrono le loro vite nonostante il disastro in arrivo, contro il quale il loro privilegio culturale non offre alcuna protezione. Ne risultano azioni energiche ma solo abbozzate, risposte incomplete e dilemmi morali. Il film guarda sia al passato che al futuro, rappresentando al contempo un esercizio di cinema cooperativo. Una sezione animata del film proviene da un circolo di apprendimento condiviso che Nyampeta periodicamente riunisce al Centro d’arte Waza di Lubumbashi. La domanda è: Come sappiamo ciò che sappiamo? Infine, un cortometraggio realizzato dall’artista e regista Kivu Ruhorahoza rende omaggio alle generazioni passate e future che vivono un’infanzia senza adulti. Gli adulti sono al lavoro? Sono in casa con gli ospiti o sono affaccendati in lavori domestici? Oppure si stanno nascondendo e proteggendo dalle atrocità che si scatenano al di là del cancello di casa? I bambini stanno diventando orfani senza saperlo? I posti a sedere forniti sono presi a prestito dalla comunità locale del sestiere di Castello, a Venezia, permettendo alla mostra di divenire un’illustrazione delle pratiche di aggregazione e comunione di Nyampeta.

Il lavoro di Christian Nyampeta è stato mostrato presso: Shanghai Biennale 2023, Carnegie International Pittsburgh 2022, Istanbul Biennial 2022, Manifesta 14, Solomon R. Guggenheim Museum, WIELS, Dakar Biennale 2018, Camden Art Centre, Ural Industrial Biennial of Contemporary Art 2019, Gwangju Biennale 2016.

FOUR

Giorgio Andreotta Calò
Nebula, 2024

Installazione video monocanale e audio multicanale site-specific, colore, suono, 33′

Immerso in un’atmosfera sospesa tra sogno e realtà, il Complesso dell’Ospedaletto è insieme il luogo dove quest’opera è stata girata e dove è mostrata. All’interno di questi ambienti e lontana dalle sue montagne, una pecora si desta e inizia ad attraversarne l’architettura: il suo cammino solitario percorre gli spazi solenni e monumentali della chiesa di Santa Maria dei Derelitti e quelli funzionali e spogli dell’ex casa di cura, luoghi che hanno offerto, in epoche diverse, conforto all’anima e al corpo. La telecamera ci accompagna in un percorso in cui le dimensioni temporali e i significati filtrano le une negli altri, seguendo l’enigma di una pecora che, invece di essere condotta da un pastore, conduce chi guarda. A punteggiare questa perlustrazione di uno spazio tanto fisico quanto simbolico, emerge il suono ricorrente di un campanellino, che pare offrire ai sensi una possibilità di orientamento e che, riecheggiando al di fuori dello schermo, amplifica l’atmosfera onirica dell’opera e i suoi interrogativi. I ricordi d’infanzia dell’artista – in questo luogo suo padre lavorava all’inizio degli anni Ottanta – si sovrappongono all’esperienza che il pubblico fa oggi di questi stessi spazi lungo il percorso della mostra, secondo un principio di progressivo accumulo e slittamento tra memoria e percezione. Nell’anno del centenario della nascita di Franco Basaglia, l’artista rende omaggio alla visione rivoluzionaria dello psichiatra veneziano, che ci ha permesso di ridefinire il confine politico e medico tra salute e malattia, tra cura e custodia. Lo fa attraverso un’opera, ispirata al titolo della mostra, che offre una meditazione spaziale e metaforica sulla ricerca del senso ma anche sul suo smarrimento, sulla realtà e l’immaginazione, sulla razionalità e l’interiorità. Il film si chiude sulle parole di una donna che, insieme alle altre presenze che abitano lo spazio creato dall’opera, ci interroga sulle nostre nozioni acquisite di verità e speranza.

Il lavoro di Giorgio Andreotta Calò (1979, Italia) è stato mostrato presso: Fondazione Prada, Pirelli HangarBicocca, Oude Kerk, High Line, Depart Foundation Los Angeles, Castello di Rivoli, Biennale Arte 2017 – Italy Pavilion, Biennale Arte 2011.

FIVE

Basel Abbas and Ruanne Abou-Rahme
Until we became fire and fire us, 2023–in corso

Installazione multicanale video e audio con subwoofer site-specific, pannelli d’acciaio, stampe d’archivio a getto d’inchiostro, stampe a sublimazione su tessuto, stampe digitali su metallo, dimensioni variabili

L’opera intreccia territori distrutti e comunità frammentate nel ruolo di testimoni viventi, di presenze assenti attraverso cui narrazioni che altrimenti verrebbero soppresse o perdute possono sopravvivere e rientrare a far parte del tessuto della realtà. Per questo nuovo adattamento dell’opera, gli artisti si confrontano con la funzione originale del Complesso dell’Ospedaletto, che per quattro secoli è stato rifugio per i poveri e gli ammalati, incorporando i disegni creati dal padre di Abou-Rahme a Gerusalemme negli anni ‘70 e ’80, per riflettere sulle forme passate e presenti di espropriazione e cancellazione in Palestina. All’interno e all’esterno di un susseguirsi di sale, composizioni di parole, suoni, immagini e luci sono disposte in modo da accumularsi e dissiparsi progressivamente. Il loro flusso e riflusso non lineare è un invito per il pubblico a trovare un senso negli elementi visivi, sonori, fisici e ambientali dell’installazione attraverso un’esperienza sensoriale e poetica. Dalle piante indigene che resistono ai tentativi di estirpazione, alle pietre antiche che riemergono dal cemento di impronta coloniale, ai siti in cui si sono verificati eventi violenti e scintille di libertà, fino ai testi di canzoni sull’amore e la perdita o alle danze tradizionali eseguite in condizioni diasporiche, l’opera riaccende le tracce di esistenze alienate e le trasforma in strumenti inter- generazionali di riconnessione spirituale e fisica, nonché di ricostruzione storica. Campionate a partire da un archivio crescente di materiali che gli artisti hanno co-creato, raccolto e remixato fin dal 2010, queste narrazioni frantumate e fagocitanti appaiono e scompaiono in maniera vertiginosa, fondendosi a volte l’una nell’altra attraverso sovrapposizioni e distorsioni di tipo sensoriale. La loro caratteristica relazione materica con lo spazio mira a generare una forma di reciprocità tra chi osserva e chi viene osservato, chi perseguita e chi viene perseguitato. Quest’opera fa parte del più ampio progetto May amnesia never kiss us on the mouth (2020–in corso) che, attraverso il prisma della performance, osserva il modo in cui le comunità testimoniano e resistono alle esperienze di brutalità e sradicamento.

Il lavoro di Basel Abbas (1983, Cipro) e Ruanne Abou-Rahme (1983, Stati Uniti d’America) è stato mostrato presso: Migros Museum of Contemporary Art, MoMA, Kunstverein in Hamburg, Protocinema, ICA Philadelphia, Office for Contemporary Art Oslo, Sharjah Biennial 2023, Berlin Biennale 2022, Seoul International Media Art Biennale 2016, São Paulo Biennial 2014, Gwangju Biennale 2014, Istanbul Biennial 2013.

SIX

Cinthia Marcelle and Tiago Mata Machado
Acumulação Primitiva, 2024

Video a due canali, colore, suono 5.1, 16’40”

Una famiglia siede tra ciò che resta della sua casa, i propri averi ammucchiati all’aperto, esposti, mentre le ruspe, instancabili e aggressive, smuovono tutt’attorno cumuli di materiale grezzo. Pochi minuti più tardi, alcuni membri di quella famiglia si allontanano trasportando sulla schiena i piccoli oggetti che sono in grado di portare con sé, mentre un operaio prepara il terreno su cui costruire un recinto di filo spinato. Il rumore costante dei treni merci fa da sfondo ossessivo al paesaggio meraviglioso, seppur depredato, ricordandoci che il denaro non dorme mai. Attraverso una serie di vignette allegoriche, Acumulação Primitiva (Accumulazione primitiva) osserva le conseguenze materiali del colonialismo e del capitalismo che ancora perdurano sulle persone e sull’ambiente, come esemplifica la scena in cui si osserva un uomo bianco trasportato da un uomo Nero, che procede ansimante e a fatica sulla ghiaia, mentre questa sdrucciola pericolosamente sotto i suoi piedi – un tributo all’osservazione di Lev Tolstoj secondo la quale “il ricco farebbe di tutto per il povero, eccetto smettere di soggiogarlo”. L’opera presenta simultaneamente il passato e il presente di generazioni che sono state disumanizzate, espropriate ed espulse, se non addirittura cancellate, rendendo omaggio a chi è sopravvissuto, a chi è testimone e resiste alla devastazione che forze economiche e politiche non cessano di imporre sulla loro esistenza. Acumulação Primitiva è il secondo capitolo della Trilogia do Capital (Trilogia del Capitale, 2021–in corso), un’analisi dei concetti economici, delle loro origini teologiche e della loro tendenza verso l’astrazione. La nozione marxista di “accumulazione primitiva” viene evocata in questa sede per visualizzare la relazione tra l’esproprio violento della terra, la mercificazione della forza lavoro e la struttura di classe razzializzata che sostiene la riproduzione del capitalismo fino ai nostri giorni. L’opera fa seguito al primo capitolo, Dívida (Debito, 2021), che illustrava il concetto di debito come macigno incombente su un’umanità che cerca, senza successo, di oltrepassarlo.

Il lavoro di Cinthia Marcelle (1974, Brasile) e Tiago Mata Machado (1973, Brasile) è stato mostrato presso: Gallerie d’Italia Torino, Logan Center for the Arts, Pinacoteca de São Paulo, MAXXI, Kiasma, Biennale Arte 2017 – Brazil Pavilion, Biennale Jogja 2017, Biennale de l’Image en Mouvement 2016, Istanbul Biennial 2013, New Museum Triennial 2012.

SEVEN

Saodat Ismailova
Melted into the Sun, 2024

Video monocanale, colore, suono 5.1, 35’50”

L’opera è ispirata all’ambigua figura di Al-Muqannaʿ (“Il Velato”), un tintore di tessuti che divenne una guida spirituale e un agitatore politico nel sud dell’Asia Centrale durante l’ottavo secolo, e medita sugli echi culturali e politici delle sue idee rivoluzionarie. Al-Muqannaʿ predicava un sincretismo ideologico di Zoroastrismo, Mazdakismo e Buddhismo, e aveva risvegliato le menti dei suoi discepoli “Biancovestiti” mettendo in luce lo status quo della sua epoca, ossia sfidando le pratiche di sfruttamento dei terreni, del potere autoritario centralizzato, e della repressione religiosa. Del suo retaggio, che potrebbe essere considerato oggigiorno come “proto-socialista”, si è appropriato l’apparato della propaganda sovietica regionale, considerandolo un eroe locale e un esempio di ribellione e lotta per la condivisione comune della proprietà e della ricchezza. Adottando una visione ciclica della storia e del sapere, in cui i significati si presentano instabili e in continua risignificazione, l’artista ha reimmaginato le predicazioni di Al-Muqannaʿ e ha invitato l’influente poeta uzbeko Jontemir Jondor a interpretare una versione moderna di questo leader carismatico. Il film ci trasporta sulle sponde del fiume Amu Darya, nel campo di sepoltura circolare di Chillpiq e nella città di Bukhara, tutti luoghi in cui si sono svolte, a quanto si dice, le leggendarie imprese di Al-Muqannaʿ, come l’apparizione di una seconda luna dal fondo di un pozzo. Ma anche vicino alla porta carbonizzata trovata nella fortezza zoroastriana di Kafir-Kala, che rappresenta la dea dell’acqua Nana mentre viene adorata attorno a un altare di fuoco e nei luoghi in cui sorgono alcune infrastrutture sovietiche, come la diga di Kirov e la fornace solare dell’Uzbekistan. Questo viaggio visuale nel tempo mostra l’uso abile da parte di Al-Muqannaʿ dell’illusione e della scienza per scopi demagogici e riflette sul ruolo centrale svolto dalla tecnologia e dalla manipolazione della Terra nel mantenimento delle strutture di potere fin dall’antichità. Le sequenze liriche di riflessi e abbagli, insieme alla colonna sonora materica ed extra-diegetica, guardano metaforicamente al duplice aspetto della storia di Al-Muqannaʿ – che alla fine è caduto nell’oscurità a cui si opponeva, riducendo in cenere la sua cittadella ideale – e continuano a far risuonare nella contemporaneità le sue domande profonde e ancora irrisolte.

Il lavoro di Saodat Ismailova (1981, Uzbekistan) è stato mostrato presso: Eye Filmmuseum, Center for Contemporary Art Tashkent, Tromsø Kunstforening, Kunstsammlungen & Museen Augsburg, Haus der Kulturen der Welt, Para Site Hong Kong, Sharjah Biennal 2023, documenta fifteen 2022, Biennale Arte 2022, Biennale Arte 2013.

EIGHT

Diego Marcon
Fritz, 2024

Video monocanale, animazione CGI, colore, suono, loop

All’interno di una legnaia illuminata da un’alba autunnale, un ragazzino sta cantando uno jodel. Utilizzato tradizionalmente nelle Alpi Centrali per riportare il bestiame nelle stalle o per comunicare con i villaggi distanti, lo jodel di Fritz è invece un richiamo soffocato e un requiem lugubre, accompagnato da altre voci provenienti dalle vallate e dalle montagne vicine. La nitidezza e la semplicità della scena appaiono perfettamente reali e rassicuranti, ma al contempo assurde e inquietanti. Alcuni dettagli, quali il pile e i pantaloni di Fritz parzialmente ricoperti di macchie d’erba e fango, pur ancorando in certa misura la storia in una realtà plausibile, sono troppo insignificanti per costituire una soggettività autentica per la sua figura. Non spiegano neanche la strana situazione in cui si trova, o il suo insolito comportamento, come il piccolo calcio che dà contro il muro per poter continuare a girare su se stesso. Sospeso tra l’infanzia e l’età adulta, tra l’essere nel mondo e l’essere senza mondo, tra essere umano ed essere burattino, Fritz sembra un personaggio irreparabile che – come il suo brano ripiegato allo stato di vocalizzazione e di suono gutturale – è stanco morto, esausto dal teatro della vita e dalle sue aspettative di un qualche significato. Fondendo tra loro elementi drammatici, comici, grotteschi ed evocando al contempo personaggi letterari come Pinocchio, questa breve ma interminabile scenetta costruisce una realtà nella quale i fatti sono trucchi iper-realistici capaci di creare spazio attorno a un abisso di orrore e stupore. Parallelamente, la sua atmosfera spettrale conferisce a questo racconto polifonico una leggerezza inattesa capace di generare un’ironia compassionevole verso le forme collettive di tristezza e isolamento che caratterizzano la nostra epoca. L’opera è stata realizzata insieme all’animatore Diego Zuelli e al musicista Federico Chiari, collaboratori di lunga data dell’artista. Lo jodel è stato eseguito dal Coro Genzianella, un gruppo di canto folcloristico composto da sole voci maschili, fondato nel 1961 in un piccolo villaggio montano del Trentino-Alto Adige.

Il lavoro di Diego Marcon (1985, Italia) è stato mostrato presso: Kunsthalle Basel, Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci, Fondazione Nicola Trussardi, Museo MADRE, Biennale Arte 2022, Mudam Luxembourg, Museo MACTE, Fondazione Prada, Quinzaine des cineastes Cannes, International Film Festival Rotterdam, Viennale, Festival du nouveau cinema de Montreal, BFI London Film Festival.

SCENOGRAFIA

In inglese moderno, la parola “nebula” è stata usata come termine medico per descrivere la presenza sull’occhio di una patina o di puntini opachi che offuscano la vista. Dall’inizio del 1700, il termine ha iniziato a essere applicato in senso astronomico per descrivere grandi nebulose interstellari di gas e polvere. Gli interventi scenografici e architettonici al Complesso dell’Ospedaletto forniscono spunti di riflessione sulle diverse condizioni visive, acustiche, tattili e mentali della nebulosità, cercando di tradurle in attributi spaziali. La strategia architettonica interagisce con diversi ambienti, potenziando o velando di volta in volta alcuni sensi, reagendo alle opere degli artisti e creando momenti in cui esse tracimano dalle loro stanze. Concepita come una serie di micro-interventi che occupano lo spazio di transizione tra le opere, la scenografia si dispiega attraverso passaggi rivestiti in metallo, in grado di riflettere il suono proveniente dalle installazioni, così come attraverso ambienti tattili creati con materiali soffici, fino a stanze insonorizzate, capaci di creare momenti di isolamento sensoriale. La geografia dello spazio espositivo viene trasformata in un ecosistema di ambienti esistenti e inseriti ex-novo che amplificano l’esperienza corporea delle video installazioni e che permettono al pubblico di smarrire temporaneamente il proprio orientamento accostandosi, uno dopo l’altro, ai diversi contesti spaziali.

2050+

PUBLIC PROGRAM e VISITE GUIDATE

Nebula sarà accompagnata da un programma di approfondimenti interdisciplinari curato da Bianca Stoppani, editor della Fondazione, e organizzato in collaborazione con Palazzo Grassi, Pinault Collection Venezia al Teatrino di Palazzo Grassi il 17–18 ottobre 2024. Il programma coinvolgerà gli artisti presenti in mostra ed espanderà il dibattito riguardo alle loro pratiche attraverso un fitto calendario di momenti discorsivi, proiezioni e contributi performativi. Per maggiori informazioni, visitare www.inbetweenartfilm.com

La Fondazione offre inoltre un servizio gratuito di visite guidate a Nebula. Ogni secondo e quarto sabato del mese, alle 11 e alle 15, è possibile visitare la mostra con la guida di Oltreforma, un collettivo di Venezia attivo nella didattica per l’arte. La capienza massima è di 12 persone. Per prenotazioni, scrivere a: tour@inbetweenartfilm.com

FONDAZIONE IN BETWEEN ART FILM

Fondazione In Between Art Film è nata nel 2019 con un programma culturale incentrato sul ruolo delle immagini in movimento nel nostro presente e sul sostegno ad artisti, istituzioni e centri di ricerca internazionali che esplorano il dialogo tra discipline diverse. La Fondazione si propone di indagare i confini dei time-based media tra film, video, performance e installazione attraverso la commissione e la produzione di nuove opere, l’organizzazione di mostre e programmi discorsivi, la collaborazione con istituzioni internazionali e la realizzazione di progetti editoriali. La Fondazione prosegue e amplia il lavoro della casa di produzione In Between Art Film, che dal 2012 al 2019 ha sostenuto produzioni video e cinematografiche di artisti e registi internazionali.

Fondazione In Between Art Film
Presidente: Beatrice Bulgari
Direttore artistico: Alessandro Rabottini
Curatori: Leonardo Bigazzi, Paola Ugolini
Project Manager: Alessia Carlino
Editor: Bianca Stoppani
Segreteria: Simona Iandoli
Collection manager: Chiara Nicolini

COLOPHON

NEBULA

17.04–24.11 2024
Complesso dell’Ospedaletto

Una mostra ideata e prodotta da Fondazione In Between Art Film

con

Basel Abbas e Ruanne Abou-Rahme, Giorgio Andreotta Calò, Saodat Ismailova, Cinthia Marcelle e Tiago Mata Machado, Diego Marcon, Basir Mahmood, Ari Benjamin Meyers, Christian Nyampeta

a cura di

Alessandro Rabottini
Leonardo Bigazzi

Project manager
Alessia Carlino

Testi e public program a cura di
Bianca Stoppani

Assistente curatore
Giovanni Giacomo Paolin

Ufficio mostra
Chiara Nicolini

Scenografia
2050+
Sara Barbini, Che Delano Facchin, Nils Grootenzerink, Francesca Lantieri, Ippolito Pestellini Laparelli

Allestimento
Altofragile
Lapo Gavioli, Valentina Goretti, Giulia Mainetti, Alessia Pasqualetti, Francesco Rovaldi

Design
Lorenzo Mason Studio
Lorenzo Mason, Michele Bellinaso, Simone Spinazzè

Tecnologia
Giochi di Luce

Display
Definizioni

Illuminazione
Riato

Graphic Lab
Colorzenith, Graphic Report

Coordinamento organizzativo
Venews C563 Arts – Massimo Bran, Paola Marchetti
Ospedaletto Con/temporaneo – Mariachiara Marzari
Fondazione In Between Art Film – Simona Iandoli

Didattica
Oltreforma

Consulenza legale
Angela Saltarelli

Consulenza fiscale
Benigni&K

Rapporti con Soprintendenza e Comune di Venezia
Anfibio – arch. Piero Vespignani

Relazioni stampa e comunicazione
Lara Facco P&C – Lara Facco, Claudia Santrolli
Sam Talbot – Matthew Brown, Maja Hollmann, Sam Talbot

Visual story-telling
Giacomo Bianco

Si ringrazia
arch. Don Gianmatteo Caputo, Delegato Patriarcale per i Beni Culturali e l’Edilizia di Culto Curia Patriarcale di Venezia
I.P.A.V. (ex I.R.E.)
Luigi Polesel, Presidente Consiglio di Amministrazione di I.P.A.V.
Laura De Rossi
Fondazione Venezia Servizi alla Persona
Claudio Beltrame, Presidente Consiglio di Gestione di Fondazione Venezia Servizi alla Persona
Jessica Morosini, Direttore Laura Marcomin, Edoardo Rizzi, Elisa Torri

 

GUIDA ALLA MOSTRA

Sinossi
Bianca Stoppani eccetto la sinossi per “When Rain Clouds Gather” di: Christian Nyampeta

Copy-editing e traduzioni di
Traduzioni Liquide – Gordon Fisher
Claudia Cazzaniga

Tutte le opere sono state commissionate e prodotte da Fondazione In Between Art Film

Tutte le opere sono courtesy dell’artista e Fondazione In Between Art Film

 

Crediti aggiuntivi

Basel Abbas e Ruanne Abou- Rahme, Until we became fire and fire us, 2023–in corso. Co-prodotto da Sharjah Art Foundation. Co-commissionato Polygreen Culture and Art Initiative (PCAI) per Sharjah Biennial 15 (2023)

Giorgio Andreotta Calò, Nebula, 2024. Co-prodotto da Studio Giorgio Andreotta Calò. Courtesy Annet Gelink Gallery, Galleria ZERO…, Sprovieri

Saodat Ismailova, Melted into the Sun, 2024. Co-prodotto da Batalha Centro de Cinema

Basir Mahmood, Brown Bodies in an Open Landscape are Often Migrating, 2024. Supporto aggiuntivo da Mondriaan Fund

Cinthia Marcelle e Tiago Mata Machado, Acumulação Primitiva, 2024. Co-prodotto da Cuy Filmes, Ela.LTDA e Cinemari. Courtesy Galería Luisa Strina, Sprovieri

Diego Marcon, Fritz, 2024. Co-prodotto da Sadie Coles HQ, Galerie Buchholz. Courtesy Sadie Coles HQ, Galerie Buchholz

Ari Benjamin Meyers, Marshall Allen, 99, Astronaut, 2024. Co-prodotto da Fluentum. Courtesy Esther Schipper

Il public program è organizzato in collaborazione con

Palazzo Grassi, Pinault Collection Venezia

presso il
Teatrino di Palazzo Grassi
17–18.10.2024

I dettagli del public program di Nebula sono consultabili al sito inbetweenartfilm.com